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Raggi di gelo

2021-08-11 00:02

homo vivo giuseppe rago

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Raggi di gelo

Calore, stanchezza, mancanza di lucidità. Fuori piove ed il torpore mi divora come l’oscurità ottenebra i corpi quando il sole tramonta.

Calore, stanchezza, mancanza di lucidità. Fuori piove ed il torpore mi divora come l’oscurità ottenebra i corpi quando il sole tramonta.
La voglia di riscatto, di farmi valere e dare un significato a questa vita effimera, che pure sembra eterna e che, giorno dopo giorno, svogliatamente siamo obbligati a vivere, mi assale.
Ma qui, dal mio abitacolo posso ben poco. Il mondo là fuori non sa chi io sia, né qualcuno si chiede di me o dove io sia in questo momento. La piccolezza della mia persona rispetto all’eterno che ci avvolge mi spiazza e mi turba. Troppe domande. Chi siamo noi per darci delle risposte? Come bestie da soma che trainano il loro carrettino finché non sopraggiunge la morte così noi siamo obbligati a camminare per questo lungo sentiero, senza possibilità di uscita, domandandoci ad ogni passo come sarà il prossimo svincolo. E con i nostri paraocchi non riusciamo a capire che sassi e terra saranno, così come terra e sassi sono sempre stati.
Non c’è speranza di un mondo migliore? Oddio, la vita sembra così fine a sé stessa! Così mi arrabbio, sentendomi inutile; peggio ancora, sento di occupare impropriamente uno spazio che non merito né mi appartiene.
Oh, se solo fossi almeno in grado di essere riconoscente per ciò che mi è stato dato! Non riesco nemmeno a provare felicità, pretendendo sempre di più, a volte anche l’impossibile. Mi sento costretto a guardare sempre dritto di fronte a me, all’interno di un tunnel che si fa sempre più buio. Non ho una torcia con me, non una pila, un acciarino, un dannato fiammifero che mi permetta di vedere in che misterioso posto io mi trovi? Avrà fine questa galleria? Riusciremo mai più a vedere la luce?
La sole cose che mi gratificano sono i miei pensieri ed i miei inutili sogni, gli unici mondi in cui posso avere pieni poteri del mio destino, dove posso essere felice. Poi mi risveglio, e ritrovo questo grigiore deprimente.
Sono in una stanza piccola e grigia, senza finestre, illuminata da una luce soffusa di misteriosa provenienza. Cosa posso fare? Camminare? Saltare? Urlare? Comunque non mi sentirebbe nessuno e mi ritrovo a percorrere il mio cammino da solo, senza l’ombra di qualcuno che mi accompagni, che mi conforti, che mi prenda per mano e mi dica di non disperare, che forse un domani ci sarà. Ma forse anche questa sarebbe soltanto illusione.
Così come Alice incontra nei suoi sogni meraviglie inesistenti, ma poi si risveglia e riprende piena coscienza della monotonia quotidiana.
Una forza improvvisa ed inaspettata esplode in me: è la rabbia che vuole uscire. Prendo a pugni i muri, sbatto da una parte all’altra senza risultato, ottenendo soltanto maggiore rabbia e maggiore malinconia. Mi riaddormento.
Mi risveglio a gattoni in uno spazio erboso recintato. Finalmente qui l’aria sferza il mio viso. Mi rilasso e sorrido. Forse c’è davvero qualcosa al di là di quel recinto! Poi vedo delle pecore accanto a me. Provo a mettermi in piedi, ma qualcosa mi spinge a terra con forza. Così guardo inebetito quel gregge che bruca. Provo rabbia, ancora rossa rabbia scottante. Percuoto una pecora, poi un’altra.
Stupidi animali! Possibile che pensiate soltanto a brucare! Quel recinto non pone dei limiti alle vostre inutili vite. Cazzo, scavalcatelo! Rendetevi libere, deficienti!
Porca puttana! Raggiungo il recinto. Provo a scavalcarlo, ma questa maledetta forza misteriosa mi tiene qui, inchiodato a terra a quattro zampe.
Aiutatemi, idiote, e venite con me! Ma quelle non mi ascoltano, intente come sono a mangiare non glie ne frega niente. Non sembrano nemmeno accorgersi che c’è qualcosa dall’altra parte. È tanta la rabbia che ho dentro: svengo.
Dove mi ritroverò quando mi sveglio? Ormai non mi importa più: sicuramente sarà un posto dal quale non potrò scappare e dove sarà acuito ancor più il mio senso di prigionia.

Driiiiiiin….Driiiiiiiiiiin…….Driiiiiiiiiiiii- iiiiiin.
Prendo la sveglia e la scaravento lontano. Cade e si rompe ed io bestemmio.
Mi metto seduto nel mio letto, abituo gli occhi all’oscurità mattutina. Poi mi alzo, vado in cucina e prendo una tazza dalla credenza. Preparo la colazione. Poi, però, ripenso alle stupide pecore che brucano e rovescio il contenuto della tazza nel lavandino “Che schifo!”. Non urlo, tutti dormono e devo fare attenzione a non svegliare nessuno.
Vado in bagno. Svogliatamente ma insistentemente mi lavo i denti.
Mi tolgo il pigiama e un freddo pungente attacca con violenza la mia pelle. Poi mi vesto. I soliti jeans, la solita felpa.
Esco di casa, gli occhi vitrei, pensando alla dura giornata che mi aspetta.
Rivedrò le stesse facce, gli stessi posti, penserò alle stesse cose e dirò le stesse cazzate.
I miei amici, eccoli lì. Li rivedrò di nuovo. Sto bene con loro, eppure nemmeno questi mi danno la piena felicità, soltanto un suo lieve sentore. Ma esiste davvero? La felicità è forse un’invenzione per dare speranza a chi come me ormai non crede più in niente?
Continuo ad accumulare rabbia, la noia sopraggiunge, e con fare svogliato e freddo tratto sgarbatamente chiunque mi rivolga la parola.
Poi guardo il cielo: è una bella giornata ed il sole splende. Entro in classe e con un grosso sorriso grido “BUONGIORNO!”, anche se so che non lo sarà. Per il momento, comunque preferisco continuare ad illudermi.

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