Fra poemi tormentati,
e fame di vita e culture,
il forbito accento si spegne,
in maniera estemporanea,
abbandonandosi saltuariamente
alla pratica della sciocchezza.
La leggerezza dell'animo pieno,
non trovando altro modo
d'esprimer sè stesso, e temendo poi
di ricadere nella banalità
del già sentito, del già detto,
e di rendersi ridicolo nell'esprimersi
con ridondante e copiosa
pomposità animata, nel folle tentativo
di descrivere un'eterna sensazione
mai vissuta, sulla Terra si riversa,
attraverso le mie parole,
come il rutto d'un orco ubriaco,
attraverso le vie dell'ignoranza,
tentando di racchiudere,
nei più sciocchi insulti,
la divinità del sentimento immane,
che da masso si fa piuma,
nel rischio di giungere offensivo,
e d'apicare il pathos per poi
farlo sgonfiar di colpo,
provocando ilari sorrisi
o avversione interrogativa,
giocando a dadi con la fortuna,
e con l'acume più o meno luminoso
di coloro che mi ascoltano.
